Il Metodo VaDiSS per il trattamento dei DSA
[La seguente presentazione sintetica del Metodo è tratta dalla Dispensa Didattica del Corso FAD "Valutazione e trattamento dei disturbi di apprendimento (DSA)]
VaDiSS è l’acronimo della definizione estesa del Metodo: Valutazione Dinamica e Stimolazione Sensoriale. L’aspetto peculiare del Metodo VaDiSS è la grande attenzione posta sugli stili di apprendimento di alunni e studenti DSA, che si esprime, attraverso la valutazione dinamica delle strategie sensoriali alla base di quegli stili di apprendimento e sulla stimolazione sensoriale che può favorire e/o potenziare gli stili di apprendimento più adeguati per la corretta acquisizione delle competenze di letto-scrittura e calcolo e di conoscenze più generali.
Il Metodo VaDiSS è senz’altro da considerarsi un approccio sui generis nel vasto panorama dei trattamenti abilitativi e riabilitativi dei DSA, poiché offre la possibilità di intervenire in modo efficace con un'unica metodologia clinica su tutti e tre i deficit di apprendimento: disturbo di lettura, di compitazione e di calcolo. Ciò è possibile perché il Metodo VaDiSS opera principalmente a livello di processo nell’acquisizione (encoding), nella memorizzazione a lungo termine (storage) e nel recupero (retrieval) delle stringhe uditive (fonologiche) e visive (ortografiche).
Se si lavora con successo a livello di processo, il contenuto (materiale specifico) sottoposto al processo di apprendimento può essere di qualsiasi tipo e facilmente manipolabile in base alle esigenze del trattamento. Inoltre, l’approccio multimodale (uditivo/visivo) del Metodo VaDiSS permette di ottenere un effetto terapeutico potenziato rispetto ai classici interventi unimodali.
Gli aspetti clinici del Metodo VaDiSS, validati in maniera indiretta dalle evidenze sperimentali in letteratura internazionale sono applicati in base alle più recenti ed accreditate evidenze scientifiche dei modelli cognitivi dello sviluppo delle abilità di letto-scrittura e calcolo e delle proposte interpretative dei DSA, adeguandosi alle raccomandazioni della Consensus Conference per la pratica clinica, di basare il trattamento su di un modello chiaro e su evidenze scientifiche.
I modelli cognitivi più autorevoli sull’acquisizione dei processi di letto-scrittura e di calcolo ritengono fondamentale il processo attraverso il quale nuovi codici ortografici (parole scritte o simboli aritmetici) vengono mappati all’interno di codici fonologici già presenti: i suoni rappresentati dai termini linguistici, ai quali è associato a loro volta un determinato significato (valenza semantica).
La lettura, in particolare, è un processo di comprensione del linguaggio scritto, e l’obiettivo finale è avere accesso al significato di ciò che si legge. Il successo nella lettura è il risultato dell’acquisizione sistematica e completa di questa corrispondenza lessicale, che comporta il riconoscimento accurato e istantaneo della stragrande maggioranza dei termini linguistici e l’accesso pieno e diretto al significato semantico di tutti quei termini, in altre parole del fenomeno di lessicalizzazione.
L’adeguata lessicalizzazione delle stringhe ortografiche che compongono il testo scritto dovrebbe essere l’oggetto del trattamento dei deficit nelle abilità di letto-scrittura e del calcolo. Infatti questi disturbi possono essere visti (al di là delle cause eziologiche, neurali e cognitive) in definitiva come il fallimento del recupero istantaneo dalla memoria a lungo termine del Lexicon Ortografico e delle stringhe fonologiche relative ai fatti aritmetici; questo fallimento impedisce il riconoscimento istantaneo delle parole scritte sul foglio durante la lettura, della conversione in parole scritte del linguaggio verbale (ortografia o compitazione) e del recupero dei fatti aritmetici.
La mancata lessicalizzazione delle parole può spiegare il deficit di compitazione dei soggetti disortografici. Infatti, la parola scritta diventa lessicalizzata quando la sua “immagine fedele” viene consolidata nella Visual Word Form Area (VWFA), che rappresenta il Lexicon Ortografico. In generale, la disponibilità di un’immagine chiara e corretta nella VWFA, in seguito alla sua lessicalizzazione, permette a chi la deve scrivere sotto dettatura o per produzione spontanea l’accesso visivo immediato (di solito al di sotto della soglia di consapevolezza) alla sua struttura ortografica, per cui viene in pratica “copiata”, cioè viene trascritta sul foglio la sua immagine mentale.
Se l’alunno ha un disturbo di lettura, cioè di mancata lessicalizzazione della maggior parte delle parole, non avrà a disposizione nella sua VWFA le immagini chiare e corrette delle parole, per cui, in modo molto simile alla strategia sublessicale di lettura, per scriverle si baserà su di una strategia non visiva ma fonologica, magari trascrivendo le sillabe che compongono la parola, ma incorrendo in numerosi errori poiché la sua consapevolezza fonologica spesso è carente. In alternativa, potrebbe averle lessicalizzate in modo non corretto per via di un deficit fonologico o visivo, e di conseguenza avere l’accesso visivo ad un'immagine mentale non corretta della parola.
Per quanto riguarda le abilità di calcolo, infine, e nello specifico del recupero dei fatti aritmetici (addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni) e nel calcolo a mente, come è stato descritto dettagliatamente in precedenza gli autori che hanno approfondito le difficoltà dei soggetti dislessici nei compiti di apprendimento all’interno del paradigma del Paired Associate Learning (PAL), hanno fornito indirettamente delle evidenze sperimentali che rendono conto delle concomitanti difficoltà di questi soggetti nel recupero dei fatti aritmetici. Il gruppo di ricerca di Robin A. Litt e Kate Nation (2013, 2014) in particolare, hanno dimostrato che la modalità di apprendimento unimodale “verbale-verbale” era quella di gran lunga più carente nei soggetti sperimentali dislessici rispetto al gruppo di controllo dei normolettori, con la modalità “visivo-verbale” anch’essa deficitaria e direttamente implicata nel disturbo di lettura e compitazione. Riguardo invece alle altre due modalità, “visivo- visivo” e verbale-visivo” i risultati dei due gruppi non differivano in modo significativo.
Gli autori concludono che il paradigma PAL e il processo di lettura condividono meccanismi cognitivi coinvolti nell’apprendimento, accesso e produzione di materiali verbali, e che i deficit PAL riflettono menomazioni del sistema di output fonologico; in altre parole, le difficoltà dei dislessici risiedono nelle competenze relative alla consapevolezza fonologica e alla memoria verbale di lavoro e a breve termine in uscita. Recentemente il gruppo di ricerca di Cesare Cornoldi ha riscontrato risultati analoghi anche con bambini italiani, confrontando gruppi di bambini con dislessia rispetto a gruppi di controllo di bambini a sviluppo tipico (Toffalini E, Tomasi E, Albano D, Cornoldi C., 2018; Toffalini E, Marsura M, Garcia RB, Cornoldi C., 2019; Garcia RB, Tomaino A., Cornoldi C., 2019).
Per fare un esempio con le addizioni, l’equazione “8 + 4 = 12” viene risolta inizialmente dall’alunno con la strategia di counting: /otto/, /nove/, /dieci/, /undici/, /dodici/. Ma con il passare del tempo e per via della familiarizzazione dovuta alla pratica scolastica, le due parti dell’equazione vengono “lessicalizzate” dall’alunno: una volta consolidata la comprensione semantica dell’operazione, avviene anche l’automatizzazione dell’equazione, con il recupero immediato del risultato dovuto al collegamento diretto delle due stringhe fonologiche (verbali): /otto più quattro/ e /dodici/, la prima in entrata e la seconda in uscita.
Il Metodo VaDiSS, coerentemente con l’approccio multisensoriale all’apprendimento, ha fatto proprie alcune indicazioni terapeutiche emerse dalle evidenze sperimentali di diverse ricerche attuate nell’ambito del paradigma PAL. In particolare, la constatazione che i bambini dislessici hanno bisogno di un maggior tempo di esposizione per favorire l’acquisizione delle nuove memorie uditive in uscita durante l’apprendimento della lettura rispetto ai loro coetanei normolettori, ma una volta stabilite queste memorie verbali, esse si consolidano nel magazzino lessicale fonologico e possono essere recuperate adeguatamente nel processo di lettura al pari dei compagni normolettori.
L’importanza, dal punto di vista riabilitativo, del bisogno di un maggior numero di ripetizioni delle associazioni per favorire l’acquisizione delle memorie verbali nei bambini dislessici viene affermato anche da Kramer e colleghi, che propongono un modello esplicativo della dislessia costituito dal deficit di acquisizione di nuove informazioni verbali. Questo modello permette di focalizzare il trattamento sulla fase di acquisizione delle stringhe fonologiche (parole e fatti aritmetici) proponendo ai soggetti DSA un lavoro di potenziamento sistematico basato sul paradigma PAL che preveda un numero adeguato di ripetizioni con la contemporanea attivazione della memoria di lavoro uditiva per facilitare il ciclo articolatorio ed evitare il rapido decadimento delle stringhe fonologiche.
È importante sottolineare che le varie ricerche sperimentali hanno evidenziato che i dislessici sono capaci di memorizzare, e una volta memorizzato recuperano le informazioni dalla memoria a lungo termine come i normolettori. Il bambino dislessico ha bisogno di lavorare maggiormente sulla fase di acquisizione delle stringhe uditive, non in modo generico ma con attività di potenziamento specifiche. A nostro avviso, dire in modo perentorio e definitivo a un bambino dislessico o discalculico (e ai suoi genitori nonché agli insegnanti) che non potrà mai memorizzare le tabelline o non potrà mai leggere velocemente come i compagni è sbagliato a priori, come dimostrano le evidenze scientifiche. I danni a livello motivazionale e dell’autostima che queste affermazioni possono produrre sugli alunni non potranno mai essere sottolineate abbastanza.
Ove possibile, è fondamentale e doveroso offrire a tutti gli alunni e studenti DSA la possibilità di effettuare trattamenti specifici per ridurre il grado di deficit nelle abilità di letto-scrittura e di calcolo, con un atteggiamento realistico ma propositivo, con un valutazione dinamica caso per caso della curva di apprendimento di ciascun soggetto in base alla risposta al trattamento, ma consapevoli del fatto che si possono ottenere, salvo rare eccezioni, sempre risultati significativi.
Le evidenze di oltre 40 anni di esperienza clinica della Programmazione Neuro Linguistica (PNL), confermate in modo indiretto attraverso i risultati sperimentali dalla scoperta del ruolo chiave di due specifiche aree della Corteccia Pre-Frontale (PFC): quella ventro-laterale (VLPFC) e quella dorso-laterale (DLPFC) nei meccanismi di maggior discriminazione e mantenimento nella memoria di lavoro rispettivamente degli stimoli fonologici e visivi, nonché in quelli di recupero selettivo dai lexicon verbale e ortografico. La possibilità di attivare nel soggetto DSA in trattamento queste due regioni della corteccia frontale in modo diretto e selettivo, permette di effettuare un potenziamento multimodale (visivo/uditivo) altamente efficace per la memorizzazione (encoding), il consolidamento nella memoria a lungo termine (storage) e il recupero (retrieval) degli stimoli fonologici e visivi implicati nell’adeguata acquisizione della letto-scrittura e del calcolo.
La calibrazione dei Segnali di Accesso Oculare (SAO) del bambino/studente in trattamento, cioè il tipo di movimenti oculari "non visivi" e inconsapevoli durante il recupero delle immagini o dei suoni dalla memoria a lungo termine, è una fase fondamentale e imprescindibile del Metodo VaDiSS, perché permette di stabilire con certezza quale parte della PFC controlaterale (destra o sinistra) al movimento oculare dovremo attivare per effettuare il trattamento. Infatti, anche se in generale per un soggetto destrimane la PFC da attivare è quella destra (sinistra invece per un soggetto mancino), una buona percentuale di soggetti con la dominanza manuale destra attivano in modo naturale le aree ventrali e dorsali laterali della PFC sinistra per le funzioni discriminative, di mantenimento e monitoraggio dei suoni e delle immagini, oltre al loro recupero dalla memoria a lungo termine.
I movimenti oculari, infatti, sono il correlato neurofisiologico naturale e automatico dell’attivazione della PFC controlaterale; quello del bambino non è uno sguardo diretto a vedere o sentire qualcosa all’esterno, ma piuttosto “all’interno” (Non Visual Gaze Patterns): per rispondere ad una nostra domanda che richiede il recupero dalla memoria a lungo termine di un’immagine o di un suono e il suo mantenimento nella memoria di lavoro per discriminare efficacemente quell’immagine o quel suono, in modo automatico e al di fuori della sua consapevolezza si attivano i processi cognitivi adeguati a fornire la risposta.
Le aree dorsali e/o ventrali laterali della PFC “richiamano” rapidamente le immagini o i suoni relativi alla risposta da dare e le mantengono nella memoria di lavoro per un’analisi discriminativa molto precisa e focalizzata. Durante l’attivazione della PFC, gli occhi del bambino si muovono nella direzione opposta (controlaterale), in alto per le immagini e lateralmente per i suoni, in largo anticipo rispetto alla risposta verbale che verrà data. Così, per esempio, se chiediamo al bambino “Quanto fa sette per otto?”, la PFC si attiverà rapidamente per “richiamare” l’informazione dalla memoria a lungo termine; in seguito all’attivazione della PFC il suo sguardo si dirigerà nella direzione opposta, in alto se l’informazione è di tipo visivo, lateralmente se è di tipo uditivo (e lo è nella maggior parte dei casi di recupero dei fatti aritmetici) e subito dopo risponderà: “Cinquantasei”.
Per inciso, le aree prefrontali dorsolaterali e ventrolaterali sono anche responsabili del senso di “familiarità” che ci permette di “sentire” a livello di sensazione cenestesica (stato propriocettivo di rilassamento o di tensione) se la nostra risposta è giusta o sbagliata, come risultato del mantenimento e monitoraggio dell’informazione fonologica o visiva recuperata. È grazie a questa sensazione fisica di assenza o meno di tensione che avviene l’autocorrezione: se il bambino avesse risposto in modo sbagliato d’impulso pronunciando “Quarantotto” (magari facendosi fuorviare dall’effetto rima), la forma fonologica della sua risposta, messa a confronto con la forma corretta recuperata dall’area prefrontale ventrale laterale (“Cinquantasei”), avrebbe generato una sensazione cenestesica negativa, facendolo subito autocorreggere (“Quarantotto… no, cinquantasei!”).
Quindi “calibrare” i segnali di accesso oculare, cioè i movimenti oculari emilaterali dell'alunno/studente significa verificare i modelli sistematici (patterns) di attivazione della PFC della persona che abbiamo di fronte quando recupera con successo le informazioni fonologiche e visive in risposta alle nostre domande, attraverso l’osservazione del correlato neurofisiologico costituito dai movimenti oculari controlaterali che produce in modo automatico e inconsapevole.
I primi passi del processo di acquisizione della letto-scrittura sono caratterizzati dall’apprendimento della mappatura tra simboli visivi e i suoni corrispondenti. Questo aspetto del processo prende il nome di decodifica fonologica ed è considerato il sine qua non per il successo nell’acquisizione dell’abilità di letto-scrittura, dal momento che l’apprendimento esplicito di un piccolo gruppo di corrispondenze immagine-suono (rappresentato inizialmente da singole lettere e successivamente dalle sillabe) permette al bambino di acquisire la corrispondenza ortografica di un grandissimo numero di parole già presenti nel suo bagaglio linguistico prima di entrare a scuola. Queste rudimentali abilità di decodifica, in combinazione con le rappresentazioni fonologiche delle parole presenti nella lingua parlata prima dell’inizio della scolarizzazione, sono sufficienti per iniziare un ciclo di apprendimento (learning loop) che gradualmente conduce allo sviluppo della letto-scrittura.
Secondo l’ipotesi dell’auto-insegnamento ogni esperienza di successo del bambino nella decodifica di una parola sconosciuta durante la lettura gli offre l'opportunità di acquisire la corretta rappresentazione ortografica di quella parola, che rappresenta la base per un adeguato riconoscimento lessicale. Quindi, la decodifica fonologica funge da meccanismo di auto-insegnamento, una sorta di insegnante “incorporato” (built-in teacher). Spesso bastano poche esperienze di riconoscimento per costituire una connessione diretta tra la parola scritta e la sua controparte fonologica presente nel vocabolario linguistico. In altri termini, la parola viene lessicalizzata. Da qui deriva l’importanza, per l’efficace lessicalizzazione delle parole scritte, che i bambini leggano le parole da apprendere in contesti diversi.
I DSA si caratterizzano per il fallimento di questo processo di lessicalizzazione, in quanto deficit fonologici (consapevolezza fonologica, memoria fonologica, ecc.) e/o visivi (attenzione visiva spaziale, effetto crowding, ecc.) interferiscono nel processo. Numerose evidenze scientifiche in letteratura internazionale dirette e indirette individuano nella mancata o inadeguata lessicalizzazione delle stringhe ortografiche e fonologiche le performance carenti di lettura, compitazione e calcolo dei soggetti con DSA.
L’attivazione diretta della VLPFC per gli stimoli fonologici (uditivi) e della DLPFC per gli stimoli ortografici (visivi) permette di gestire in modo specifico la delicata fase di decodifica fonologica alla base della corretta acquisizione della letto-scrittura, favorendo la costruzione di una stabile e adeguata corrispondenza grafema-fonema ai vari livelli (lettere, sillabe, morfemi, parola intera). Questo permette di rendere di nuovo efficiente il learning loop alla base della lessicalizzazione autonoma del bambino secondo la teoria dell’auto-insegnamento (self-teaching theory).